31 agosto 1944: la battaglia di Montegridolfo
Il piano alleato aveva previsto che il lancio dell’offensiva contro la Linea dei Goti avvenisse nel settore adriatico. Ai canadesi ed agli inglesi spettava il compito decisivo di penetrare nelle difese tedesche nel tratto Osteria Nuova-Montecchio-Rio Salso e di conquistare le cime delle colline Quota 204 (tra Pozzo Alto e Tavullia), Montelevecchie (oggi Belvedere Fogliense) e Montegridolfo, tutti capisaldi per aprire la porta all’avanzata alleata verso la pianura padana.
Il 30 agosto tutti gli attaccanti avevano superato il Foglia, ma erano stati fermati dall’intenso fuoco di mortai e mitragliatrici proveniente dalle colline sovrastanti. Gli attacchi proseguirono durante la notte e all’alba del 31 agosto con modesti guadagni di terreno. Gli inglesi del 1° Reggimento Hampshire, cui era affidata la conquista di Montegridolfo (il più potente bastione difensivo del settore) erano discesi da Colbordolo e, superato il Foglia il giorno 30, erano stati poi immobilizzati per tutta la mattinata del 31 sulle pendici delle colline sopra il Padiglione.


Durante il soffocante pomeriggio di quel 31 agosto si era creata una situazione insuperabile. Tutto fu risolto da un atto di eroismo individuale, estraneo alle abituali esercitazioni e ai manuali militari. Il fatto viene così raccontato da Douglas Orgill, cronista al seguito dell’VIII Armata alleata:
“Un Comandante di plotone, il tenente Gerard Ross Norton, si gettò avanti da solo, uccidendo i tre tedeschi della prima postazione di mitragliatrici con una bomba a mano e poi, aprendosi un varco verso una casamatta (che nascondeva due mitragliatrici Spandau, cosiddette dal nome della località vicino Berlino dove venivano prodotte, e quindici fucilieri) abbatté con una raffica di Thompson (moschetto automatico statunitense in dotazione alle truppe inglesi) i due mitraglieri e uccise o prese prigionieri gli sbalorditi fanti tedeschi.
Ormai gli uomini del plotone erano al fianco del loro Comandante, mentre questi sconvolgeva un altro centro di fuoco facendo altri prigionieri. Il tenente Norton, pur essendo ferito in più punti e indebolito dalla gran perdita di sangue, risalì il valloncello alla testa dei suoi soldati che si abbatterono a valanga sulle restanti postazioni nemiche. Ben raramente capita ad un ufficiale subalterno l’occasione di far tanto da influire sulle fortune di un’intera offensiva”.
Per ciò Norton fu decorato con la Victoria Cross, la massima onorificenza britannica e la prima dell’offensiva della Linea dei Goti. Nella motivazione ufficiale si legge:
“Il tenente Norton ha dimostrato indomito coraggio, impareggiabile spirito di iniziativa, ispirata azione di comando. Con il suo supremo eroismo, il suo intrepido esempio, il suo deciso spirito aggressivo, egli ha assicurato in questa località il riuscito sfondamento della Linea Gotica.”
Alla sera del 31 agosto, mentre il tenente Norton veniva trasportato in ospedale, gli inglesi occuparono il Castello di Montegridolfo; poco dopo, i tedeschi tentarono di riconquistarlo risalendo dai Fondoni, ma senza successo e subendo gravi perdite. Montegridolfo era ritenuto un caposaldo importante per dominare il vasto arco di colline digradanti verso il mare, i tedeschi vi avevano infatti allestito una postazione di osservazione ed è proprio lì che oggi sorge il Museo della Linea dei Goti.

L'eroe di Montegridolfo: Gerard Ross Norton
Gerard Ross Norton, comandante di un plotone inglese, conquistò Montegridolfo il 31 agosto 1944 con un atto di eroismo personale.
Si gettò da solo contro i tedeschi con bombe a mano e mitra eliminando una postazione di tre mitraglieri e nquistando una casamatta con 15 fucilieri, così il suo plotone poté risalire verso il Castello. Rimase ferito e fu decorato con la Victoria Cross, la massima onorificenza britannica.
Gerard Ross Norton, nacque a Erschel (in Sud Africa) il 7 settembre 1915. Da piccolo lo chiamavano Toys, nomignolo che significa “simile a un giocattolo”; glielo aveva dato la madre perché diceva che era piccolo come un bambolotto. Col passare degli anni il nomignolo è diventato parte integrante del nome, che viene tuttora riportato nelle sue biografie come Gerard Ross “Toys” Norton. Ma Toys crebbe robusto e prima della Seconda guerra mondiale giocò nella serie A di rugby a East London, città nella quale abitava. Nel 1930, in occasione di un torneo scolastico di rugby nella Rodesia (poi divenuta Zimbabwe), rimase affascinato da quel Paese, e si ripromise che un giorno ci sarebbe andato ad abitare.


Come riuscì a fuggire dalla prigionia ce lo ha raccontato lui stesso nella sua lettera; ecco le sue parole:
“Fui fatto prigioniero a Tobruk nel deserto occidentale, ma scappai dirigendomi verso le linee di El Alamein. Mi ci vollero 38 giorni di marcia notturna attraverso il deserto libico. Alla fine mi ritrovai tra le linee neozelandesi. Poiché il mio reggimento, il Fucilieri Kaffrarian, era stato fatto prigioniero io venni aggregato ad un Reggimento britannico e fui quindi inserito nel Reggimento Reale Hampshire”.
Questa avventura l’aveva compiuta insieme ad un amico; erano stati intercettati dai soldati italiani ma erano stati lasciati proseguire perché i due fuggitivi avevano usato l’astuzia di parlare in africano, che era stato scambiato per tedesco. Per questa impresa fu decorato con la Medaglia Militare britannica (MM). Compiuto l’atto eroico a Montegridolfo, fu trasferito all’ospedale sudafricano di Roma a causa delle ferite riportate, dove il fratello maggiore era medico e la sorella gemella prestava servizio come infermiera.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale, congedato col grado di capitano e con onori, nel 1947 realizzò la sua ambizione di stabilirsi in Rodesia. Cominciò prima come coltivatore di tabacco in una fattoria da lui ricavata in una zona della boscaglia rodesiana; poi, quando si accorse che le piantagioni di tabacco erano troppo impegnative, le sostituì con la coltivazione del cotone, del granoturco e del fieno per la fattoria. Negli anni ’90, dovette ricostruire la fattoria che gli era stata incendiata ad opera di terroristi (nell’incendio andarono perdute anche le sue decorazioni).
Si ritirò in pensione e, dopo la morte della moglie Lilla, visse presso la fattoria della figlia Jennifer. Purtroppo lo Stato, governato per oltre vent’anni dal nazionalista Mugabe, decretò la requisizione di tutte le fattorie, ponendo come termine per il rilascio il 31 dicembre 2003. L’ottantanovenne decorato ci scrisse così:
“Siamo stati cacciati fuori dalla nostra fattoria dopo averci vissuto per 56 anni. Lo Stato vuole che tutti gli agricoltori bianchi siano fuori dalle fattorie entro la fine del 2003. Gli agricoltori le stanno lasciando diretti verso altri paesi.”

In un giornale del Sud Africa il nostro vecchio eroe di Montegridolfo commentò amaramente:
“Non avrei mai pensato che a questa età sarei diventato un beduino senza casa”.
La nostra comunità, per quanto modesta come numero di abitanti, è tuttavia molto sensibile alla propria memoria storica. Non poteva non ricordare l’atto eroico di quel tenente di plotone, il cui nome ci era sconosciuto fino a poco tempo fa. Gli ha reso omaggio dedicandogli il Museo della Linea dei Goti con queste parole che sono riportate nella prima pagina del catalogo:
A Gerard Ross Norton che aprì la strada al suo plotone per conquistare Montegridolfo.
Memorie dalla Linea Gotica Orientale
“I ricordi affollano la mente, le emozioni stringono il cuore e velano gli occhi.”
I Comuni di Montescudo–Monte Colombo, Gemmano, Montegridolfo e San Clemente, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna hanno deciso dar vita a “Vivere e abitare in tempo di guerra lungo la Linea Gotica”, progetto che vuole promuovere la trasmissione e valorizzazione della memoria collettiva dei luoghi e delle comunità coinvolti negli eventi bellici del settembre 1944.
I ragazzi della calda estate 1944 di Montegridolfo
Tiziano Casoli, classe 1935, nato e cresciuto a Montegridolfo, racconta di una vita semplice, tranquilla, improvvisamente scossa dagli avvenimenti bellici. La guerra non fa paura i bambini, per loro è solo un gioco
Guerrino Tonni, classe 1922, di San Pietro di Montegridolfo. Guerrino è il sopravvissuto, il prigioniero, il reduce dalla Siberia. Nei suoi occhi ancora si coglie tutto lo stupore per essere riuscito a tornare a casa vivo.
L’intero progetto e le interviste complete le trovate sul sito: www.memorielineagotica.it
I rifugi di Montegridolfo
I rifugi, piccoli o grandi, furono ricavati tenendo presente due accorgimenti fondamentali per la sicurezza: furono scelti luoghi bassi che avessero una collina alle spalle e, in particolare, con l’ingresso rivolto a nord. Così sarebbe stata migliore la protezione dalle bombe, che si presumeva sarebbero arrivate dalla parte degli Alleati, cioè da sud. Inoltre, un lenzuolo bianco esposto all’esterno indicava che vi erano soltanto civili.
Nel 1944, con l’avvicinarsi dell’estate, apparve sempre più chiaro il pericolo che la zona di Montegridolfo sarebbe diventata campo di battaglia. La gente era ansiosa di sapere come le cose andavano “laggiù”; le voci correvano da uno all’altro “hanno superato Cassino”, ” i vëin sö… i va pièn perchè j’usa i canón, lór i diĵ ch’vèl piö la vita d’un suldèd ch’a ne cént canón”
(traduzione: “vengono su… vanno piano perché usano i cannoni, loro dicono che la vita di un soldato vale più di cento cannoni”).
Si era creata l’immagine di un fronte che andava da un mare all’altro e che stava comunque avanzando. Maturò quindi in anticipo la decisione di sfollare o, quantomeno, di costruire rifugi; d’altra parte le opere di difesa che la Todt costruiva lungo la parte sinistra del Foglia facevano pensare a una forte resistenza tedesca, che si sarebbe protratta chissà fino a quando.

Rifugi a Montegridolfo – 1944
Pianta dei rifugi scavati dai civili nel 1944 per ripararsi durante il passaggio del fronte.
L’immagine è stata ottenuta dalla carta militare italiana del 1894 ristampata dai tedeschi nel 1944.
I triangoli sui contrassegni indicano il numero delle gallerie di ogni rifugio (da 1 a 3). Nel più ampio (il nr 6) si rifugiarono fino a 90 persone nei giorni cruciali della battaglia di Montegridolfo.
Sfollare o costruire rifugi?
Molte famiglie della parte bassa di Montegridolfo (Ca’ Baldo, Pozze, Trebbio) scelsero di trasferirsi nelle Marche, lasciando tuttavia un uomo a guardia delle case (al Farneto o a Petriano nel cosiddetto fosso dell’Uccello); alcuni trovarono ospitalità in casolari, altri costruirono baracche. Alcune famiglie del Trebbio e del Botteghino, e molte di San Pietro e del Castello si prepararono al peggio costruendo rifugi nel terreno tufaceo della Cannarecchia e dei Fondoni. Ci furono anche famiglie meno fortunate che scelsero di sfollare là dove la battaglia fu più lunga, come a San Pér, nei pressi di Auditore, o addirittura a Gemmano dove gli scontri furono più cruenti. Dai ricordi dei testimoni, di chi abbandonò la propria casa e di chi rimase per trasferirsi nei rifugi, traspare una generale rassegnazione, come se si trattasse di eventi necessari che li avvicinavano alla fine della guerra.
Si ringrazia il Comitato Scientifico del Museo della Linea dei Goti, in particole Terzo Maffei, per le preziose nozioni storiche.